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lunedì 25 maggio 2009

Pensieri eventuali






particolare del lavoro Diversabili(olio su cartone telato)



Stabilito che anche la cultura ufficiale (in senso generale), per lo meno quella più manifesta (poiché tale, inserita nel mercato), è motivata da ragioni quasi totalmente di profitto, è inevitabile il qualunquismo del contenuto. Per essere appetibile a tutti, un prodotto, non può essere portatore d’ideologie diverse o critiche che potrebbero escludere parte dei consumatori, si deve fare in modo che tutti in una certa misura partecipino al banchetto, sempre a pagamento.






Probabilmente è anche in quest’ottica che s’inserisce la ricerca multi-disciplinare, l’utilizzo di più tecniche amplifica la ricettibilità del pubblico, nulla da eccepire sulla ricerca multi-disciplinare se non fosse che manifesta propositi poco chiari e fortemente accentratori.
La cultura dominante fatica ad inserire nel proprio spazio espressioni specializzate, ancora più se portatrici di contenuti non attentamente verificati, se le fa proprie è unicamente perché possono portare guadagni, in un’ottica di profitto.

Un artista crede di poter vivere grazie alla sua “abilità” e alla fine, se riesce, raggiunge cosa, in definitiva? La spettacolarizzazione del suo prodotto e la partecipazione al mercato.
Prendiamo un musicista (o uno scrittore) che scrive per lungo tempo composizioni che propone all’editoria con scarsi risultati, quando riuscirà a farsi prendere qualcosa dall’editore? Quando in qualche misura e per qualche ragione (di mercato) il suo prodotto sarà appetibile, vendibile, comprabile. Il lavoro di un artista diventa quasi inevitabilmente ricerca di profitto, perdendo in definitiva gran parte del suo intento originale, i contenuti stessi dovranno essere mediati o inseriti in circoli ben definiti per essere vendibili, in un’ottica di mercato globale quasi tutti i contenuti sono proponibili, anche quelli che appaiono in contrapposizione al sistema globale (sono consumatori anche i ribelli), la novità e l’originalità sono l’illusoria corsa all’oro dell’arte.

Si può obbiettare che nella cultura non esistono solo aspetti di mercato e che molte iniziative si vestono d’alti propositi e portano avanti contenuti critici, vero, ma osserviamo anche la reale efficacia di tali interventi nei giorni nostri.
Spesso per essere visibili si appoggiano alle istituzioni (mi viene in mente una manifestazione al Museion, Museo d’arte contemporanea di Bolzano, intitolata Underground, una contraddizione in termini) subendone le inevitabili limitazioni e partecipando alla mercificazione dell’arte nel senso più spregevole del termine, le critiche, le provocazioni non incidono, non solo sulla realtà quotidiana ma nemmeno su quella specifica dell’arte, chi se ne interessa un poco si accorge della frammentazione del mondo artistico ormai tutto è arte, anche girarsi i pollici più velocemente di chiunque altro può esserlo se reso vendibile, guinness dei primati (intesi come scimmie?), TV, giornali, etc... come potrebbe qualunque artista incidere sul quotidiano, quando la sua stessa attività è paragonabile a quella di un detentore di primato, di una velina o di un designer d’armi moderne (lui sì che incide, profondamente).

Il qualunquismo dell’arte contemporanea è il qualunquismo del denaro, dove tutto è possibile purché porti profitto.

Alcuni critici contemporanei, forse per uscire da ciò, prospettano nell’opera d’arte un’evidenza intenzionale di contenuti, sorretta da una “riflessione colta” (lo stesso qualunquismo se progettato può essere critico) che spinge verso la partecipazione dell’utente (ed ecco la terminologia del mercato che si fa largo nonostante tutto), esaurite in parte o accantonate le diatribe formali e tecniche del passato la discussione passa più ai contenuti.

Colta. Naturalmente un attributo di questo tipo diventa discriminante, come uscire da questo empasse (la mia avversione ad ogni forma impositiva fatica ad accettare tale impostazione)? Non ci si può esimere dal considerare importante avere delle conoscenze riguardo a ciò di cui uno vuole occuparsi, non si può parlare di libri senza averne letti più di uno, non posso dire che il rock è la miglior musica del mondo senza prima averne ascoltato anche altra (o il rock stesso), non si può valutare la specificità di un profumo se non conosco l’esistenza d’altri profumi e le loro differenze, non posso valutare l’arte contemporanea (lo stesso termine implica un concetto storico) senza avere una minima conoscenza della sua storia e il suo perché. Quando parlo d’arte contemporanea non intendo identificare solo uno stile particolare ma quella che è proposta ai nostri giorni.

I contenuti. Un altro discrimine che porta con se poca chiarezza, determinare quale il contenuto che ascriva un’azione estetica al ruolo d’opera d’arte non è facile per una serie di motivi, dal chi lo decide al perché così è deciso.
Se si condivide la riflessione sulla spettacolarizzazione dell’arte (mi chiedo come si fa a non riconoscerne l’evidenza) che inquina il contenuto già a partire dalla sua prima ideazione, diventa ancora più difficile proporre alternative se non la stessa contrapposizione a tale sistema.

Il coinvolgimento di chi partecipa come spettatore all’avvenimento artistico attraverso le tecniche più utili a tale scopo, può essere un modo per permettere, a chi guarda, di entrare in contatto col processo creativo, promuovendo l’interesse diretto verso quest’ultimo, la curiosità verso il contenuto e il possibile approfondimento di qualcuno, in questo senso l’avvenimento artistico può diventare cultura e passaggio di cultura.

Il cavaliere inesistente

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