Riflessioni poco quotidiane
In fondo siamo circondati dall’arte, anzi ogni oggetto che ci circonda è un prodotto “artistico”, nel più umile attrezzo di lavoro o nel più ricercato oggetto d’arredamento (anche urbano) si trova un senso estetico che ne determina la forma (immagine).
Spesso (od ormai sempre?) la funzionalità degli oggetti è ridotta per favorire l’immagine degli stessi.
L’arte come decorazione del quotidiano, ma se crediamo che il quotidiano ormai non sia altro che mercificazione della vita potremo anche dire, l’arte come decorazione del mercato, utile alla sua riconferma e appetibilità.
Per chi non vuole partecipare a questo gioco le vie di fuga sono poco chiare.
Però non si può ignorare tale meccanismo speculativo a meno che non si decida di farne parte.
Per questo le polemiche dell’arte contemporanea se guardate con l’occhio dei critici della società dello spettacolo appaiono sterili, non ha più valore la forma, il tipo di linguaggio, l’espressione, perché l’obiettivo è altro, l’obiettivo di questa arte è la consacrazione del profitto, l’unico valore dell’opera è legato alla sua spendibilità sul mercato.
Certo che partendo da questi presupposti un artista non potrebbe fare altro che appendere pennelli, cervello e anima al gancio della resa.
Una lotta interna pare improbabile, si è facilmente censurabili o inglobabili nel sistema mercato, un intervento sul senso estetico è un impresa al limite, presuppone un mutamento culturale globale.
Mi chiedo: ”... e tu perché fai o tenti di fare arte?”
Provo a dirmi che mi dedico all’arte perché è la cosa che faccio più volentieri, faccio arte perché è forse l’unica cosa che faccio io per piacere mio, faccio arte perché forse è l’unico momento che fingo un po’ meno, faccio arte perché nell’espressione linguistica che ne consegue cerco di distinguermi dalla massa (intesa nell’accezione più negativa del termine), faccio arte perché forse non so fare altro e magari anche questo lo faccio male, faccio arte perché mi piacerebbe che ognuno potesse fare ciò che gli piace nella vita di là dal profitto che ne può ricavare.
Penso che in fondo è un processo, un’evoluzione, involuzione, evoluzione, una riconsiderazione o considerazione della vita e dei suoi fenomeni che mi riguardano direttamente.
Penso che milioni d’anni fa quando non esistevano ancora regni, imperi, mercanti, artisti, classi sociali, sistemi capitalistici o dittature comuniste qualcuno si prendeva il disturbo di disegnare con selci o quanto altro, figure o immagini percepite e riportate con buona fedeltà per chi sa quale scopo, magico, rituale o decorativo che sia. Penso che forse per questo, la mia voglia di dedicarmi alle forme artistiche non si è esaurita.
Ma i quesiti restano: “Come uscire da questo circolo vizioso?”
Accetto suggerimenti, idee e commenti!
Il cavaliere inesistente
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Il cavaliere inesistente
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