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mercoledì 24 giugno 2009

OLFATTO

Diversabili (olio su cartone telato)






OLFATTO ("Proesie" nostalgiche, pezzi di tempi)

L’odore del vino scadente, l’odore del tabacco, l’odore della minestra col cavolo, l’odore dei vecchi malati, l’odore di “freschino”, l’odore dell’antico dopobarba, l’odore della plastica, l’odore dei cani bagnati, l’odore della varechina, l’odore dei piedi, l’odore del sesso, l’odore del mare, l’odore dell’aria pulita, l’odore dello scarico di un diesel, l’odore di un’auto nuova, l’odore del "marchese", l’odore del pane, l’odore del sangue.

Il gioco è duro,
l’odore di sudore e saliva ne fa parte.
Continua a colpirmi con violenza, con stupidità.
L’ennesimo calcione mi butta a terra.
Non parlo, non grido, non sbraccio, non corro,
lo raggiungo e
lo colpisco, un pugno sul naso,
unico.
Fermo,
quasi sospeso in un attimo prolungato.
Non lo vedo cadere,
il fischio dell’arbitro e le grida del piccolo pubblico fanno esplodere l’ira, la mia, ira,
dentro,
un tremito incontrollabile.
Un grido sovrasta gli altri: “Fuori! Fuori tutti e due!”
Il cartellino rosso e la camminata rabbiosa verso lo spogliatoio mi appaiono come in un accelerazione video vista da fuori,
tempo e spazio scompaiono.
Entro,
solo,
mucchi di vestiti e borse gettati ovunque,
resto in piedi.
La frattura è insanabile,
meritava quel pugno.


Molto nostalgico e lontano
ma così dolcemente appagante,
il ricordo mi assorbe.
Prima un odore,
la campagna o
l’asfalto o
la pioggia o
la plastica,
poi una sensazione fisica,
il mutamento appena percepibile della realtà interna,
la sensazione di un altro corpo, quello di una volta,
quello precedente.
La musica, i suoni, gli odori, la luce, il mio sentire.
riportano a quel momento.
Un attimo, una sensazione intensa,
breve.
A bordo di un furgone Volkswagen a forma di supposta con le tendine ai finestrini,
sul sedile posteriore,
il “fumo” nascosto nelle mutande.
Appoggiata sul cruscotto posteriore,
una pistola finta,
di plastica verde fosforescente,
quelle da western per i bambini, in uno stampo unico, anche il grilletto.
Verso Firenze.
E’ il 17 marzo 1978.

Piero dice che l’odore dei preti è “strano”,
un misto d’incenso,
di vestiti che sanno di neutro,
di mancanza di sesso (che ne sa lui?),
d’alitosi.
Non ci curiamo della religione,
è una cosa esterna,
un poco ci diverte e un poco ci “tocca”, “si deve”,
la mamma lo vuole e poi lo fanno tutti.
Ci piacciono le ostie.
La comunione è probabilmente il momento migliore della messa,
il sapore-insapore delle particole ci stupisce ogni volta,
si attacca al palato creando una pellicola sulla parte superiore e diventa un gioco cercare di staccarla con la lingua.
Il pomeriggio d’estate le chiese sono semi-vuote,
un terreno d’avventure fantastico.
La chiesa del quartiere và bene ma c’è dentro qualcuno,
si deve attendere,
Piero propone un’ispezione nei dintorni,
siamo Sioux in perlustrazione.
Passiamo dietro,
una porta, aperta.
C’è un androne e delle scale che scendono,
siamo agenti segreti.
Due rampe,
un ampio atrio oblungo con alcune porte laterali chiuse e silenziose,
di fronte a noi, sul lato lontano, una porta diversa,
più grande e decorata,
il nostro obiettivo.
Silenziosi, pronti alla fuga,
Mario tocca la maniglia, apre, piano.
Filtra una luce colorata, la cappella.

L’altare rivela un tesoro, sopra una tovaglia imbandita un grande calice dorato,
coperto da un piattino pure d’oro o dorato,
a fianco una coppa più piccola e una specie di bricco con un becco lungo e ricurvo,
chiaramente in oro.
Al loro interno le particole e il vino,
il nostro tesoro.
La tentazione è forte, un assaggio,
un pezzo d’ostia a testa e le labbra appena appoggiate al bicchiere con poco vino.
Un sapore di “vietatissimo”,
di segreto inviolabile,
di grave mancanza ci ammutolisce.
Rimettiamo tutto a posto, silenziosamente,
veloci ma leggeri,
come Sioux,
ripercorriamo la strada.
Fuori!
La sensazione di avercela fatta ci rende temerari,
torniamo alla chiesa.
Il caldo è afoso, l’asfalto luccica, nessuno in giro,
complici ci sorridiamo, si và.
Dentro è fresco non c’è nessuno,,
“la vecchia” se n’è andata,
perlustriamo l’area, novelli guerriglieri.
Raggiungiamo l’altare, prendo una candela e la spezzo a metà,
sfilo la parte in cera dallo stoppino, lasciandone un pezzo lungo e una base di cera,
una specie di candelotto a miccia lunga, sembra dinamite!
Piero ha l’accendino (e le sigarette nascoste chissà dove),
gli altri m’imitano ed inizia la battaglia.
I lanci di candelotti illuminano le navate,
le “esplosioni” fanno saltare inginocchiatoi,
confessionali,
pezzi di colonne …..
una giornata campale!




Il cavaliere inesistente

1 commento:

  1. Non male specie quello in chiesa. Con Beppe volevamo segnalarti il blog di un suo amico pittore di Feltre. http://diego-zandomeneghi.blogspot.com .Lui è molto quotato in zona, magari potreste fare una partnership espositiva ... Ciao Beppe e Sandro

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