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lunedì 8 giugno 2009




Diversabili (olio su cartone telato)
Desiderio ingiustizia Invidia

L’essere virtuosi difficilmente concede spazio al desiderio, essere virtuosi è un compito estremamente arduo e molto spesso volontario e forzato (quindi non piacevole), ritengo improbabile che un affamato o assetato da giorni, abbia il tempo di pensare che non è giusto desiderare il pezzo di pane di un altro o il suo bicchiere di vino.
Il desiderio, volontario e involontario, è estraneo alla virtù.
Se condividiamo quest’idea e al contempo crediamo che i bisogni dell’uomo subiscono un evoluzione legata a tutta una serie di eventi (rapporti sociali, possibilità economiche, mutamenti psichici sia individuali che collettivi) per cui mutano secondo le condizioni dell’individuo o della collettività e anche in rapporto ad un ipotetica scala di valore, dobbiamo anche pensare che l’appagamento dei bisogni è intimamente legato al desiderio.
Ma se in un ottica virtuosa desiderare è male diventa male anche appagare i propri bisogni e come posso essere virtuoso senza avere inizialmente appagato i miei bisogni primari e necessari e poi quelli conseguenti (spesso necessari allo stesso equilibrio psicofisico) o secondari o sovrastrutturali o anche individuali e collettivi?
Diventa una contraddizione, ecco perché spesso la virtù percorre un percorso ascetico e l’eremitaggio diventa sua opzione quasi forzata.
Certo non possiamo definire il mondo in cui viviamo un mondo giusto, con uguali opportunità e valori virtuosi, direi piuttosto il contrario. Giustizia ed uguaglianza a mio parere sono condizioni determinanti per essere virtuosi, condizioni spesso assenti o corrotte.
Per chi aspira ad un mondo virtuoso la giustizia dovrebbe essere al primo posto probabilmente, la sua assenza preclude ogni tentativo.
Un mondo virtuoso diventa condizione indispensabile alla pratica della virtù.
In assenza di virtù-giustizia esiste l’ingiustizia, ma desiderare la giustizia non è un atteggiamento virtuoso in quanto implica desiderio, chi soffre di ingiustizie non è, nemmeno eticamente, autorizzato a desiderare la giustizia, in quanto non virtuoso.
Se a tutto questo aggiungiamo la relatività della virtù nelle sue sovrastrutture, diventa difficile credere che desiderare sia male di per sè (ancora una volta la valutazione può essere solo successiva).
Desiderio ed ingiustizia portano a conflittualità verso chi gode invece di privilegi in rapporto agli altri. Se desiderio e ingiustizia (di conseguenza impotenza) sono fenomeni presenti nel nostro quotidiano la manifestazione del disaccordo è un fenomeno conseguente.
Dare una connotazione morale o un valore positivo-negativo a sentimenti quali gelosia od invidia, allo stato delle cose, è una falsificazione della realtà, si pretende la virtù in assenza dei suoi presupposti necessari e si moralizza, nel senso più negativo del termine, il desiderio o lo si considera avirtuoso in un mondo in cui la virtù è improbabile.
Ridurre il desiderio ad un meschino atteggiamento volontario portatore di aspetti negativi, dove il desiderare secondo giustizia ed uguaglianza è ridotto ad atteggiamenti di invidia o gelosia, è utile a mantenere i privilegi di chi porta l’oggetto del desiderare, ecco perché comincio a credere, probabilmente in modo azzardato, che gelosia ed invidia non siano altro che fenomeni derivanti da sistemi ingiusti e diseguali, con valenze potenziali positive di riequilibrio, in opposizione a chi li stigmatizza impropriamente per giustificare l’ingiustizia e la disuguaglianza.
Il cavaliere inesistente

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