"Piuttost che nient, mei piuttost"-"Piuttosto che niente, meglio piuttosto"
La logica assistenzialista dei Servizi Sociali nelle provincie locali trova giustificazione in questo motto dialettale riduttivo e consolatorio che i nostri padri amavano enunciare quando le difficoltà della loro vita erano alleviate da palliativi poco incisivi e appena sufficienti a rendere, il loro vissuto, meno pesante.
Per esaltare l'efficacia del nostro sistema, nella lotta al disagio, spesso lo si confronta ad altre regioni, dimenticando che l'unica differenza tra queste è dettata dalla disponibilità finanziaria, che nelle nostre provincie è più alta. Infatti proprio nell'apporto economico si trova la distinzione.
Raramente o solo davanti ad episodi eclatanti si trovano critiche serie o non superficiali al sistema "welfare".
Nell'immaginario comune criticare i "benefattori" che si occupano dei "mali" della società e un tabù e chi osa, spesso, deve fare i conti con un opinione pubblica piuttosto ignorante (nel senso che ignora) e che si tiene lontana dagli eventi che provocano dolore (a meno che non si trovino direttamente coinvolti), per cui facilmente chi si permette critiche si trova a dover fare i conti con una parte della popolazione indignata per tanta audacia e irriconoscenza. Infatti le critiche, se ci sono, solitamente riguardano singoli episodi e quasi mai il sistema nel suo complesso.
La distanza tra i dirigenti, gli ideologhi e la maggior parte dei loro complici (i ruoli medi delle gerarchie, impiegati, responsabili, direttori di strutture e servizi, insegnanti ammaestrati e i "paraculati" di ogni tipo) con i fenomeni creati dal disagio, è enorme.
Tale distanza la sperimentano e la vivono in primis gli assistiti e subito dopo gli operatori di base (quelli che nella "merda", con poco senso metaforico, ci vivono quotidianamente).
Già in un altro post avevo parlato, ad esempio, del disastro reiterato che viene proposto come soluzione, nell'affrontare le dinamiche delle dipendenze (le "addiction" come si chiamano ora) ma questo sistema di controllo e gestione del disagio è comune alla gran parte degli interventi sullo stesso, con gli anziani, con i malati psichici, con i disoccupati, con gli extra comunitari, etc..
Se volete sapere come vanno i sevizi sociali, nel concreto dell'aiuto quotidiano, non dovete rivolgervi a chi è seduto in poltrona a parlare con i giornali per incensare le proprie capacità, con chiacchiere fasulle o "paroloni" (pregni di grandi significati), queste persone fanno il minimo indispensabile per poi "spettacolarizzarlo" in grandi promozioni di immagine, autoreferenziale.
Chi vive nel dolore, difficoltà, disagio, malattia giorno dopo giorno, nella quotidianità ripetuta, si accorge della finzione nascosta nelle dichiarazioni e negli atteggiamenti di dirigenti e politici di riferimento, perchè di questo si tratta, politica, potere, ideologia.
Chi dirige, si occupa di denaro e nella maggioranza dei casi non capisce assolutamente nulla di disagio sociale. Chi determina la parte organizzativa e la struttura dell'intervento assistenziale sono ragionieri, contabili, commercialisti, che non capiscono nulla di realtà disagiate.
Queste persone sono messe lì, non per la loro preparazione ma per la loro condivisione del progetto politico-ideologico corrente, non importa se fanno bene o male il loro lavoro, l'importante è che condividano la "mission" dei poteri forti. Se la preparazione esiste deve essere legata all'ideologia dominante. Così assistiamo a docenti di psichiatria (nella formazione professionale) che si permettono dichiarazioni tanto assurde quanto comode tipo:"Le dinamiche familiari non sono più causa di disturbi psichici!". La comodità sta nel tentativo di ridurre le patologie psichiche a meri disturbi individuali indipendenti da cause sociali, la famiglia come istituzione non può essere messa in discussione, peccato che sia spesso l'origine dei disturbi. L'impronta cattolica è evidente, vero è che il mondo cattolico è sempre stato quello che si è preso carico del dolore umano (và riconosciuto), è il sottaciuto scopo che non è condivisibile, l'indottrinamento autoritario e talvolta escludente che non và bene. Il pietismo cattolico non è solidarietà.
Nell'oceano del dolore ciò che viene messo in acqua, per affrontarlo, sono barchette di carta di giornale (locale, magari).
Gli esempi se visti nel quotidiano del sostegno sociale sono esaustivi.
Dedicate (se realmente interessati) un po di tempo a sentire i racconti di un anziano in casa di riposo o di un malato psichico o di un portatore di handicap di qualche struttura o di un tossico dipendente che vuole liberarsi di questa schiavitù (ulteriore), entrate nel quotidiano, nel reale duro e freddo della sofferenza, permettetevi l'unico atteggiamento di valore nel rapporto con l'"altro", quello dell'empatia, dell'immedesimazione nel dolore altrui, nella vicinanza non fisica ma affettiva, lasciate da parte la professionalità gelida imposta dalle nuove metodologie operative (non a caso) e provate a vivere ciò che l'altro vive e scoprirete un universo di individualità, potenzialità soffocate da un sistema assistenzialista, autoriproducente, "caritatevole" (nel senso peggiore del termine) ed opportunista, vi accorgerete di dinamiche discutibili dove l'individuo è caratterizzato unicamente dal suo "problema" e inserito in categorie predefinite, i tossici non hanno individualità, come gli anziani o i minori difficili, sono modelli di un istanza sociale, non persone. Probabilmente sentirete storie poco caritatevoli, se non peggio, sull'operato di chi si occupa di loro sia a livello gestionale che, di conseguenza (il pesce inizia a puzzare sempre dalla testa), a livello puramente assistenziale diretto.
Parlate con un operatore socio assistenziale o socio sanitario o una badante che si occupa di anziani e che non ha paura di compromettere il proprio posto di lavoro (un ricatto sempre presente è quello del licenziamento o del non rinnovamento del contratto) e che ha un minimo di spirito critico o meglio non và in giro con gli occhi bendati, vi racconterà di contenimento di spese, di pannolini riutilizzati, di attività ludiche censurate (quelle consentite le troverete sui giornali, con i nomi dei dirigenti che le hanno concesse e tanto incenso a profumarle), di turni di lavoro pesanti, di un riposo settimanale, di responsabili fascisti fuori controllo, di attività antisindacale, di pretese continue e competenze sempre maggiori ma mai riconosciute economicamente, di buste paga che per quanto alte, in rapporto ad altre categorie, non compensano minimamente l'impegno profuso.
La logica assistenzialista dei Servizi Sociali nelle provincie locali trova giustificazione in questo motto dialettale riduttivo e consolatorio che i nostri padri amavano enunciare quando le difficoltà della loro vita erano alleviate da palliativi poco incisivi e appena sufficienti a rendere, il loro vissuto, meno pesante.
Per esaltare l'efficacia del nostro sistema, nella lotta al disagio, spesso lo si confronta ad altre regioni, dimenticando che l'unica differenza tra queste è dettata dalla disponibilità finanziaria, che nelle nostre provincie è più alta. Infatti proprio nell'apporto economico si trova la distinzione.
Raramente o solo davanti ad episodi eclatanti si trovano critiche serie o non superficiali al sistema "welfare".
Nell'immaginario comune criticare i "benefattori" che si occupano dei "mali" della società e un tabù e chi osa, spesso, deve fare i conti con un opinione pubblica piuttosto ignorante (nel senso che ignora) e che si tiene lontana dagli eventi che provocano dolore (a meno che non si trovino direttamente coinvolti), per cui facilmente chi si permette critiche si trova a dover fare i conti con una parte della popolazione indignata per tanta audacia e irriconoscenza. Infatti le critiche, se ci sono, solitamente riguardano singoli episodi e quasi mai il sistema nel suo complesso.
La distanza tra i dirigenti, gli ideologhi e la maggior parte dei loro complici (i ruoli medi delle gerarchie, impiegati, responsabili, direttori di strutture e servizi, insegnanti ammaestrati e i "paraculati" di ogni tipo) con i fenomeni creati dal disagio, è enorme.
Tale distanza la sperimentano e la vivono in primis gli assistiti e subito dopo gli operatori di base (quelli che nella "merda", con poco senso metaforico, ci vivono quotidianamente).
Già in un altro post avevo parlato, ad esempio, del disastro reiterato che viene proposto come soluzione, nell'affrontare le dinamiche delle dipendenze (le "addiction" come si chiamano ora) ma questo sistema di controllo e gestione del disagio è comune alla gran parte degli interventi sullo stesso, con gli anziani, con i malati psichici, con i disoccupati, con gli extra comunitari, etc..
Se volete sapere come vanno i sevizi sociali, nel concreto dell'aiuto quotidiano, non dovete rivolgervi a chi è seduto in poltrona a parlare con i giornali per incensare le proprie capacità, con chiacchiere fasulle o "paroloni" (pregni di grandi significati), queste persone fanno il minimo indispensabile per poi "spettacolarizzarlo" in grandi promozioni di immagine, autoreferenziale.
Chi vive nel dolore, difficoltà, disagio, malattia giorno dopo giorno, nella quotidianità ripetuta, si accorge della finzione nascosta nelle dichiarazioni e negli atteggiamenti di dirigenti e politici di riferimento, perchè di questo si tratta, politica, potere, ideologia.
Chi dirige, si occupa di denaro e nella maggioranza dei casi non capisce assolutamente nulla di disagio sociale. Chi determina la parte organizzativa e la struttura dell'intervento assistenziale sono ragionieri, contabili, commercialisti, che non capiscono nulla di realtà disagiate.
Queste persone sono messe lì, non per la loro preparazione ma per la loro condivisione del progetto politico-ideologico corrente, non importa se fanno bene o male il loro lavoro, l'importante è che condividano la "mission" dei poteri forti. Se la preparazione esiste deve essere legata all'ideologia dominante. Così assistiamo a docenti di psichiatria (nella formazione professionale) che si permettono dichiarazioni tanto assurde quanto comode tipo:"Le dinamiche familiari non sono più causa di disturbi psichici!". La comodità sta nel tentativo di ridurre le patologie psichiche a meri disturbi individuali indipendenti da cause sociali, la famiglia come istituzione non può essere messa in discussione, peccato che sia spesso l'origine dei disturbi. L'impronta cattolica è evidente, vero è che il mondo cattolico è sempre stato quello che si è preso carico del dolore umano (và riconosciuto), è il sottaciuto scopo che non è condivisibile, l'indottrinamento autoritario e talvolta escludente che non và bene. Il pietismo cattolico non è solidarietà.
Nell'oceano del dolore ciò che viene messo in acqua, per affrontarlo, sono barchette di carta di giornale (locale, magari).
Gli esempi se visti nel quotidiano del sostegno sociale sono esaustivi.
Dedicate (se realmente interessati) un po di tempo a sentire i racconti di un anziano in casa di riposo o di un malato psichico o di un portatore di handicap di qualche struttura o di un tossico dipendente che vuole liberarsi di questa schiavitù (ulteriore), entrate nel quotidiano, nel reale duro e freddo della sofferenza, permettetevi l'unico atteggiamento di valore nel rapporto con l'"altro", quello dell'empatia, dell'immedesimazione nel dolore altrui, nella vicinanza non fisica ma affettiva, lasciate da parte la professionalità gelida imposta dalle nuove metodologie operative (non a caso) e provate a vivere ciò che l'altro vive e scoprirete un universo di individualità, potenzialità soffocate da un sistema assistenzialista, autoriproducente, "caritatevole" (nel senso peggiore del termine) ed opportunista, vi accorgerete di dinamiche discutibili dove l'individuo è caratterizzato unicamente dal suo "problema" e inserito in categorie predefinite, i tossici non hanno individualità, come gli anziani o i minori difficili, sono modelli di un istanza sociale, non persone. Probabilmente sentirete storie poco caritatevoli, se non peggio, sull'operato di chi si occupa di loro sia a livello gestionale che, di conseguenza (il pesce inizia a puzzare sempre dalla testa), a livello puramente assistenziale diretto.
Parlate con un operatore socio assistenziale o socio sanitario o una badante che si occupa di anziani e che non ha paura di compromettere il proprio posto di lavoro (un ricatto sempre presente è quello del licenziamento o del non rinnovamento del contratto) e che ha un minimo di spirito critico o meglio non và in giro con gli occhi bendati, vi racconterà di contenimento di spese, di pannolini riutilizzati, di attività ludiche censurate (quelle consentite le troverete sui giornali, con i nomi dei dirigenti che le hanno concesse e tanto incenso a profumarle), di turni di lavoro pesanti, di un riposo settimanale, di responsabili fascisti fuori controllo, di attività antisindacale, di pretese continue e competenze sempre maggiori ma mai riconosciute economicamente, di buste paga che per quanto alte, in rapporto ad altre categorie, non compensano minimamente l'impegno profuso.
Ma quanto prende un dirigente o i suoi scagnozzi per non fare niente o fare quello che qualunque persona con un po di spirito organizzativo e "un pezzo di carta" può fare o per andare a promuoversi sui media o per scodinzolare dietro al politico determinante del momento?
Gli studi dichiarati da queste persone sono solo indottrinamenti funzionali, non fatevi ingannare dalle loro lauree, sono solo teorie distanti, ideologizzate e ideologizzanti.
Pensandoci, merita più una persona che pulisce culi, sostiene un anziano, lo imbocca, lo accudisce, si relaziona con lui dandogli sollievo, lo accompagna nel suo percorso di sofferenza, lo cura, o un contabile che taglia le spese, vive l'assistito con il distaccato pietismo del privilegiato, seduto davanti ad una scrivania come un burocrate qualsiasi, a calcolare tariffe e a risparmiare sul dipendente e sull'utente? O un direttore che prevalentemente fà attività di promozione e controllo, attività che potrebbe svolgere chiunque con un minimo di capacità linguistica e qualche patologia narcisistica concomitante e/o arrivismo sfrenato?
Non credete a quello che raccontano i giornali o i politici o i direttori, parlano per sentito dire, la distanza che li separa da chi sostengono di aiutare è abissale, quando aiutano lo fanno con lo stesso atteggiamento di quando concedono l'elemosina al barbone davanti alla chiesa :"Poverino ecco 10/20 (solitamente sono anche tirchi) centesimi! Ma non andare a berteli che fà male", o con l'atteggiamento autoritario e superiore di chi "questi problemi io non li ho!". Probabilmente è meglio senza queste persone, che contiunuano a coprire la loro colpevolezza con elargizioni misurate per lavarsi la finta coscienza, sono avvoltoi che utilizzano la sofferenza per loro interesse e sono gli stessi che difendono i loro privilegi, calpestando i "predestinati emarginati".
Il cavaliere inesistente
Gli studi dichiarati da queste persone sono solo indottrinamenti funzionali, non fatevi ingannare dalle loro lauree, sono solo teorie distanti, ideologizzate e ideologizzanti.
Pensandoci, merita più una persona che pulisce culi, sostiene un anziano, lo imbocca, lo accudisce, si relaziona con lui dandogli sollievo, lo accompagna nel suo percorso di sofferenza, lo cura, o un contabile che taglia le spese, vive l'assistito con il distaccato pietismo del privilegiato, seduto davanti ad una scrivania come un burocrate qualsiasi, a calcolare tariffe e a risparmiare sul dipendente e sull'utente? O un direttore che prevalentemente fà attività di promozione e controllo, attività che potrebbe svolgere chiunque con un minimo di capacità linguistica e qualche patologia narcisistica concomitante e/o arrivismo sfrenato?
Non credete a quello che raccontano i giornali o i politici o i direttori, parlano per sentito dire, la distanza che li separa da chi sostengono di aiutare è abissale, quando aiutano lo fanno con lo stesso atteggiamento di quando concedono l'elemosina al barbone davanti alla chiesa :"Poverino ecco 10/20 (solitamente sono anche tirchi) centesimi! Ma non andare a berteli che fà male", o con l'atteggiamento autoritario e superiore di chi "questi problemi io non li ho!". Probabilmente è meglio senza queste persone, che contiunuano a coprire la loro colpevolezza con elargizioni misurate per lavarsi la finta coscienza, sono avvoltoi che utilizzano la sofferenza per loro interesse e sono gli stessi che difendono i loro privilegi, calpestando i "predestinati emarginati".
Il cavaliere inesistente
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