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Italian Bloggers

mercoledì 24 giugno 2009

OLFATTO

Diversabili (olio su cartone telato)






OLFATTO ("Proesie" nostalgiche, pezzi di tempi)

L’odore del vino scadente, l’odore del tabacco, l’odore della minestra col cavolo, l’odore dei vecchi malati, l’odore di “freschino”, l’odore dell’antico dopobarba, l’odore della plastica, l’odore dei cani bagnati, l’odore della varechina, l’odore dei piedi, l’odore del sesso, l’odore del mare, l’odore dell’aria pulita, l’odore dello scarico di un diesel, l’odore di un’auto nuova, l’odore del "marchese", l’odore del pane, l’odore del sangue.

Il gioco è duro,
l’odore di sudore e saliva ne fa parte.
Continua a colpirmi con violenza, con stupidità.
L’ennesimo calcione mi butta a terra.
Non parlo, non grido, non sbraccio, non corro,
lo raggiungo e
lo colpisco, un pugno sul naso,
unico.
Fermo,
quasi sospeso in un attimo prolungato.
Non lo vedo cadere,
il fischio dell’arbitro e le grida del piccolo pubblico fanno esplodere l’ira, la mia, ira,
dentro,
un tremito incontrollabile.
Un grido sovrasta gli altri: “Fuori! Fuori tutti e due!”
Il cartellino rosso e la camminata rabbiosa verso lo spogliatoio mi appaiono come in un accelerazione video vista da fuori,
tempo e spazio scompaiono.
Entro,
solo,
mucchi di vestiti e borse gettati ovunque,
resto in piedi.
La frattura è insanabile,
meritava quel pugno.


Molto nostalgico e lontano
ma così dolcemente appagante,
il ricordo mi assorbe.
Prima un odore,
la campagna o
l’asfalto o
la pioggia o
la plastica,
poi una sensazione fisica,
il mutamento appena percepibile della realtà interna,
la sensazione di un altro corpo, quello di una volta,
quello precedente.
La musica, i suoni, gli odori, la luce, il mio sentire.
riportano a quel momento.
Un attimo, una sensazione intensa,
breve.
A bordo di un furgone Volkswagen a forma di supposta con le tendine ai finestrini,
sul sedile posteriore,
il “fumo” nascosto nelle mutande.
Appoggiata sul cruscotto posteriore,
una pistola finta,
di plastica verde fosforescente,
quelle da western per i bambini, in uno stampo unico, anche il grilletto.
Verso Firenze.
E’ il 17 marzo 1978.

Piero dice che l’odore dei preti è “strano”,
un misto d’incenso,
di vestiti che sanno di neutro,
di mancanza di sesso (che ne sa lui?),
d’alitosi.
Non ci curiamo della religione,
è una cosa esterna,
un poco ci diverte e un poco ci “tocca”, “si deve”,
la mamma lo vuole e poi lo fanno tutti.
Ci piacciono le ostie.
La comunione è probabilmente il momento migliore della messa,
il sapore-insapore delle particole ci stupisce ogni volta,
si attacca al palato creando una pellicola sulla parte superiore e diventa un gioco cercare di staccarla con la lingua.
Il pomeriggio d’estate le chiese sono semi-vuote,
un terreno d’avventure fantastico.
La chiesa del quartiere và bene ma c’è dentro qualcuno,
si deve attendere,
Piero propone un’ispezione nei dintorni,
siamo Sioux in perlustrazione.
Passiamo dietro,
una porta, aperta.
C’è un androne e delle scale che scendono,
siamo agenti segreti.
Due rampe,
un ampio atrio oblungo con alcune porte laterali chiuse e silenziose,
di fronte a noi, sul lato lontano, una porta diversa,
più grande e decorata,
il nostro obiettivo.
Silenziosi, pronti alla fuga,
Mario tocca la maniglia, apre, piano.
Filtra una luce colorata, la cappella.

L’altare rivela un tesoro, sopra una tovaglia imbandita un grande calice dorato,
coperto da un piattino pure d’oro o dorato,
a fianco una coppa più piccola e una specie di bricco con un becco lungo e ricurvo,
chiaramente in oro.
Al loro interno le particole e il vino,
il nostro tesoro.
La tentazione è forte, un assaggio,
un pezzo d’ostia a testa e le labbra appena appoggiate al bicchiere con poco vino.
Un sapore di “vietatissimo”,
di segreto inviolabile,
di grave mancanza ci ammutolisce.
Rimettiamo tutto a posto, silenziosamente,
veloci ma leggeri,
come Sioux,
ripercorriamo la strada.
Fuori!
La sensazione di avercela fatta ci rende temerari,
torniamo alla chiesa.
Il caldo è afoso, l’asfalto luccica, nessuno in giro,
complici ci sorridiamo, si và.
Dentro è fresco non c’è nessuno,,
“la vecchia” se n’è andata,
perlustriamo l’area, novelli guerriglieri.
Raggiungiamo l’altare, prendo una candela e la spezzo a metà,
sfilo la parte in cera dallo stoppino, lasciandone un pezzo lungo e una base di cera,
una specie di candelotto a miccia lunga, sembra dinamite!
Piero ha l’accendino (e le sigarette nascoste chissà dove),
gli altri m’imitano ed inizia la battaglia.
I lanci di candelotti illuminano le navate,
le “esplosioni” fanno saltare inginocchiatoi,
confessionali,
pezzi di colonne …..
una giornata campale!




Il cavaliere inesistente

mercoledì 17 giugno 2009

La neolingua

Immagine dal web
Mi rendo conto della lunghezza e in alcuni tratti, difficoltà, del testo riportato ma l’ho trovato interessante e stuzzicante per cui lo espongo nella, quasi, sua interezza.
Il cavaliere inesistente


-"Quando io mi servo di una parola —rispose con tono sprezzante Humpty Dumpty— quella parola significa quello che piace a me, né più, né meno. Il problema è - insisté Alice - se lei può dare alle parole significati così differenti. Il problema è —tagliò corto Humpty Dumpty— chi è il padrone?" L.CARROLL, Alice

"1984", la grande opera di G.Orwell sull'utopia negativa, descrive in un'appassionante trama romanzesca il fatale "scivolamento" dall'utopia alla kakotopia (libertà è libertà di fare tutto ciò che il Partito desidera che si faccia, dall'utopia si scivola così inevitabilmente nella "kakotopia"). L'appendice al romanzo è dedicata alla descrizione dell'arma più potente di cui dispone il Grande Fratello per agire sulle coscienze ed imporre così i dogmi del Socing.
La Neolingua (Newspeak) è un sistema linguistico arbitrariamente elaborato dai tecnici del Partito, in cui ogni termine assume solo ed esclusivamente il significato che più è in armonia con i principi dell'ideologia del Socing. Non esiste alla base della comunicazione un criterio interpretativo condiviso da tutti i parlanti.
Il linguaggio non permette all'uomo soltanto di comunicare con gli altri e con se stesso, ma, come affermano i teorici della relatività linguistica (E.Sapir e B.Whorf sono i più rappresentativi ), perfino di "forgiare l'intera visione del mondo".
"Il sistema linguistico di sfondo (la grammatica) di ciascuna lingua—scrive B.Whorf—non è soltanto uno strumento di riproduzione di idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è la guida all'attività mentale dell'individuo.
Il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve essere organizzato dalla mente, il che vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema linguistico della nostra mente.
Le trasformazioni linguistiche operate dall'utopista rivelano dunque come egli desidera ed impone che si guardi e si interpreti la realtà.
Quest'ultima considerazione chiama in causa una celebre espressione di L. Wittgenstein:
"I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo."
La principale funzione della neolingua è quella di "semplificare al massimo le possibilità di pensiero", in modo da non permettere altri principi e valori che non fossero quelli imposti dalla classe dominante, il Partito.
"Giunti che saremo alla fine, renderemo il delitto di pensiero, ovvero lo psicoreato, del tutto impossibile perché non ci saranno più parole per esprimerlo ".
Così i linguisti scelti dal partito per l'elaborazione della Neolingua presentano l'obiettivo del loro lavoro. E continuano:
"La Rivoluzione sarà completata solo quando la lingua avrà raggiunto la perfezione."
Attraverso la manipolazione del linguaggio si elimina dunque anche la sola possibilità di formulare un pensiero contrario all'ideologia imposta, poiché si elimina alla base la possibilità perfino di pensarlo.
Scrive infatti E.Sapir:
"Alla domanda se si possa pensare facendo a meno del linguaggio la maggior parte delle persone risponderebbe sì (...); l'impressione che molti hanno di poter pensare o addirittura ragionare senza la lingua è un'illusione (...). In effetti, appena noi tentiamo di stabilire una consapevole relazione tra un'immagine e l'altra, ci accorgiamo che stiamo scivolando in un flusso di parole silenziose".
L'etnolinguistica ha mostrato l'infondatezza della diffusa credenza secondo la quale la lingua non sarebbe che un ornamento del pensiero, essendo quest'ultimo talmente indipendente dalla lingua da non subire nessuna trasformazione al variare di essa.
Gli etnolinguisti dimostrano invece nei loro studi che il linguaggio non esprime ciò che è già formulato in maniera non linguistica, poiché le leggi della logica sono strettamente connesse con quelle della lingua.
Il linguaggio, infatti, nel momento stesso in cui permette di comunicare un messaggio, ne crea il contenuto, o, per riprendere l'efficace espressione di Chase, forgia "l'intera visione del mondo".
Alla luce di queste ultime considerazioni risulta ora inequivocabile il messaggio che G.Orwell trasmette nel passo iniziale dell'appendice a "1984":
"Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero".
La Neolingua è profondamente legata all'ideologia che deve esprimere. Il Socing si fonda sull'autorità indiscutibile del Grande Fratello; qualsiasi pensiero in contrasto con il Socing è eresia e come tale non solo allontanato, ma eliminato nel momento stesso in cui sorge, attraverso un vero e proprio terrorismo linguistico.
L'archeolingua (Oldspeak) è la lingua comune in uso prima del Socing ed il suo destino è quello di essere quasi completamente sostituita dalla Neolingua. È infatti tollerata la sopravvivenza delle sole parole che abbiano quel significato che i membri del partito tollerano, mentre tutti gli altri significati sono esclusi, annullati:
"Daremo un unico esempio.
La parola LIBERO esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere usata solo in frasi come QUESTO CAMPO È LIBERO DA ERBACCE, ovvero QUESTO CANE È LIBERO DA PULCI. Ma non poteva essere usata nell'antico significato di politicamente libero o intellettualmente libero, dal momento che la libertà intellettuale non esisteva più nemmeno come concetto."
La riduzione del vocabolario non riguarda solamente i termini a carattere palesemente politico, ma anche altri considerati superflui dal momento che ciò che esprimono non esiste più.
Generalmente le lingue tendono spontaneamente all'economia espressiva, ed espressioni non più integrate nella lingua comune tendono a scomparire, ma in Oceania questo fenomeno non avviene spontaneamente, poiché l'economia espressiva della Neolingua è controllata e forzata.
La razionalità e la semplicità sono qualità che la letteratura utopica ha sempre enfatizzato, ma la positività di questi due tratti caratteristici è soltanto apparente. L'utopista esige infatti che il linguaggio rifletta fedelmente la razionalità e la semplicità della struttura socio-politica della Città Perfetta; una lingua semplice e razionalmente organizzata non è desiderata come obiettivo di per se stesso valido, ma soltanto come mezzo per ridefinire la funzione od il contenuto del pensiero.
La possibilità di esprimere in più modi un singolo concetto è fonte di forza e di vitalità di una lingua, ma in Oceania cessa di essere valorizzata, ed è anzi combattuta perché testimonianza della presenza di autonomia individuale. L'esistenza di più significati esprime la molteplicità delle interpretazioni: se il contenuto concettuale di un termine è invece uno soltanto, la standardizzazione del significato permette di immobilizzare, attraverso la lingua, anche la società.
Nuove esigenze, nuovi valori, nuove prospettive sono banditi dalla società perfetta dove per ognuno e per ogni cosa il Partito ha stabilito un valore ed una funzione, come per ogni parola ha stabilito un solo significato che nessuno può permettersi di interpretare.
L'aspetto politico-ideologico è dunque predominante nella rivoluzione linguistica. Già nell'"Utopia" di Tommaso Moro è presente un implicito parallelismo tra cambiamenti politico sociali e cambiamenti linguistici e la successiva letteratura utopica tenderà ad esplicitare sempre più la funzione del linguaggio nella realizzazione della società perfetta .
III
Le parole della Neolingua appartengono a tre classi distinte: "Vocabolario A, Vocabolario B, Vocabolario C").
Il "Vocabolario A" comprende parole di uso comune, quelle impiegate nei dialoghi quotidiani e che servono a descrivere azioni abitudinarie (vestirsi, camminare, mangiare...). Tutti i termini del "Vocabolario A" hanno un solo significato e si riferiscono ad oggetti concreti ed azioni materiali; il loro uso in altri contesti è impossibile poiché essi sono privi di sfumature semantiche che li possano trasferire in campi di riferimento più ampi, come ad esempio la politica o la filosofia.
Il "Vocabolario B" contiene invece parole create deliberatamente per scopi politici: esse non solo hanno un significato politico, ma anche, e soprattutto, una funzione politica consistente nell'implicito atteggiamento mentale che impongono a chi le introduce nei propri discorsi.
In una sorta di "stenografia verbale", le parole del "Vocabolario B" permettono di concentrare in poche sillabe un intero sistema di idee.
I principi del Socing appaiono così tanto più chiari ed evidenti quanto più sono concentrati in poche ed essenziali parole.
Una caratteristica di tali termini è l'intercambiabilità: ogni parola può occupare qualsiasi posto nella frase, può cioè essere utilizzata come verbo, come avverbio, nome o aggettivo. Nessun principio morfologico viene rispettato: in alcuni casi il termine resta invariato qualunque sia la sua funzione, in altri casi resta invariata solo la radice e si aggiunge un suffisso. Si legge ancora nell'appendice:
"Thus, for example, speedful meant "rapid" and speedwise meant "quickly" (…) any adjectival meaning could be arrived at by adding -ful to a noun-verb."
"Così, per esempio, VELOCITEVOLE significava rapido e VELOCITAMENTE significava rapidamente (...), qualsiasi significato aggettivale poteva essere facilmente ottenuto aggiungendo EVOLE al nome-verbo." ).
Il contrario di ogni termine si ottiene aggiungendo l'affisso S (nell'originale un-), mentre il superlativo ed il comparativo richiedevano rispettivamente gli affissi BISPLUS e PLUS (doubleplus- e plus-).
Per la coniugazione dei verbi le regole sono le stesse per tutti, ad eccezione di pochissime classi di verbi che seguono regole speciali. Il passato, ad esempio, si ottiene aggiungendo sempre ATO (-ed , come steal-*stealed)("pretendato, insorgato, incidato" sono i passati ed i participi passati di pretendere, insorgere, incidere). Allo stesso modo, senza nessuna differenziazione, si forma il plurale semplicemente aggiungendo l'affisso "i" (donna-donni, uomo-uomi,etc.).
Tutti i termini di difficile pronuncia sono eliminati, mentre quelli usati in alcune espressioni particolari ed appartenenti all'Archeolingua sono considerate forme arcaiche.
Soffermarsi sulle regole grammaticali e sintattiche della Neolingua non esprime un atteggiamento di pedanteria, ma è necessario per comprendere la struttura della società di Oceania.
L'inesistenza di regole grammaticali che differenzino i procedimenti linguistici quali la formazione del plurale o la coniugazione dei verbi a seconda del tipo di nome e di verbo, come visto negli esempi sopra riportati, rivela una semplicità di linguaggio portata al limite estremo. Tale semplicità non ha il fine di agevolare gli abitanti di Oceania nell'uso del nuovo linguaggio , ma ha una funzione esclusivamente politica: la razionalità della struttura linguistica deve mostrare a tutti la razionalità delle strutture economica e politica imposte dal Partito.
Le parole del "Vocabolario B" hanno la caratteristica di essere composte da due o più termini, generalmente un nome ed un verbo. L'espressione "pensabuono"(goodthink) significa ortodossia, mentre "panciasentire" (bellyfeel) indica l'entusiastica accettazione del Socing ed "archepensevole" (Oldthink)esprime il rifiuto del passato identificato con la malvagità e la decadenza.
La maggior parte dei termini contengono la forza della vocazione palingenetica degli utopisti: essi infatti non esprimono significati, ma li distruggono, così come gli utopisti non esprimono nuovi valori, ma distruggono quelli della società precedente.
La parola "archepensevole", ad esempio, è creata per sostituire parole come razionalismo ed obiettività; la parola "psicoreato" per sostituire, e quindi abolire le parole e con esse i concetti di libertà, uguaglianza, giustizia, morale, democrazia.
Un derivato del termine "psicoreato" è il termine "reasesso"(sexcrime) che copre tutti i significati negativi della vita sessuale. Anche per formare le parole composte esiste solo il criterio dell'arbitrio: la parola con funzione di nome può seguire o precedere quella con funzione di aggettivo o di altra parte del discorso (psicoreato e "reasesso" sono due esempi significativi del libero criterio di composizione). A volte esigenze eufoniche rendono necessarie costruzioni irregolari ed amputazioni dei termini : "Minamor" per "Minamorevole"; "Minipax" per "Minipaxevole", e così via.
Le esigenze eufoniche servono tuttavia a mascherare esigenze ideologiche: il discorso deve essere armonioso, orecchiabile come una filastrocca, per invitare chi ascolta a ricordare e condividere i principi che esso vuole veicolare. L'invito all'adesione è tuttavia il primo stadio della vera e propria costrizione: tutti coloro che non appartengono al Partito sono potenziali colpevoli di psicoreato e per evitare la condanna a morte devono subire un processo di rieducazione che parte proprio dal linguaggio.
Molte parole sono degli eufemismi, spesso talmente esagerati da diventare delle vere e proprie contraddizioni in termini, come "Minipax" per indicare il Ministero della Guerra, "Svago-campo" (joycamp) per indicare il campo dei lavori forzati.
Tutte le denominazioni delle istituzioni, delle organizzazioni, dei Paesi, degli uffici sono abbreviate. Fa notare G.Orwell nell'appendice:
"La tendenza ad usare abbreviazioni era particolarmente sentita nei Paesi a regime totalitario e nelle organizzazioni totalitariste (Nazi, Gestapo, Comintern )."
L'abbreviazione di un termine implica una sottile alterazione del significato, poiché la parola diventa un simbolo di un concetto e di quello soltanto, essendo eliminata la possibilità di ulteriori interpretazioni.
Analizzando da questo punto di vista l'espressione "Comintern", ad esempio, e confrontandola con l'espressione "Internazionale Comunista", si nota subito che mentre la prima si riferisce a qualcosa di immediatamente identificabile, come un'immagine (un'organizzazione determinata ed una precisa dottrina alla sua base ), la seconda espressione richiama un significato più complesso , "su cui si è obbligati ad indugiare, —scrive G.Orwell— se anche per un breve momento ) (universale fratellanza, Marx, barricate, bandiere rosse).
Le parole della Neolingua si assomigliano nel suono e nella morfologia, sono meccanicamente costruite attraverso l'assemblaggio di poche sillabe, mentre i suoni sono monotoni, ripetitivi ed aspri. Tali caratteristiche rispondono ad una precisa logica: il discorso, soprattutto quello politico, deve nascere senza una previa riflessione, in modo automatico, come "una scarica di pallottole da un mitragliatore" , dal momento che, essendo la lingua in armonia con lo spirito del Socing, ogni riflessione sulla scelta delle parole del discorso è superflua. Se esiste un termine per esprimere un concetto, il concetto in questione è necessariamente giusto, cioè in sintonia col Socing; in caso contrario è inutile sforzarsi di cercare l'espressione più adatta per un concetto che non può più esistere perché eretico, in contraddizione cioè col Socing.
La Neolingua comprende un numero di termini molto limitato ed i linguisti del Partito cercano di eliminare ogni termine che non risulti indispensabile: più la scelta è limitata, più debole sarà la tentazione di lasciar spaziare il pensiero. La parola "ocolingo"(duckspeak)) esprime il limite estremo a cui si vuol far giungere il processo di riduzione inguistica : "ocolingo" è chi può "articolare il discorso nella stessa laringe, senza chiamare in causa i centri del cervello" (parlare con lo stesso meccanismo con cui l'oca emette i propri versi).
Il "Vocabolario C" costituisce un supplemento degli altri due e comprende i termini scientifici e tecnici. Ogni operaio specializzato "poteva trovare tutte le parole che gli erano necessarie nella lista dedicata alla sua specializzazione, ma dava di rado più che una fuggevole occhiata alle parole che componevano le altre liste".
La specializzazione, in seguito allo straordinario sviluppo della tecnologia, è dunque spinta al massimo grado e nel linguaggio se ne ha il primo ed evidente riscontro. La lingua della scienza e della tecnica non è costituita da un vocabolario comune a tutti gli scienziati e tecnici, condizione questa necessaria per il confronto ed il progresso scientifico. Alla base dell'impossibilità dello scambio e della collaborazione intellettuali c'è lo stesso principio che risiede alla base dell'impossibilità del pluralismo ideologico e del mercato economico: l'unica scienza, l'unica organizzazione dell'economia, l'unica ideologia è il Socing.
Nei confronti delle opere letterarie, scientifiche e filosofiche appartenenti alla tradizione di pensiero della "decadente" società liberale, l'utopista ha lo stesso atteggiamento assunto verso il linguaggio.
Già in Platone si avverte la necessità primaria di distruggere le opere del passato per costruire la Città Perfetta. Nella "Repubblica" il filosofo dichiara che la tela, che rappresenta il carattere e lo stato dei cittadini, deve essere resa "il più possibile pulita".
Morelly ribadisce tale concetto nel "Codice della Natura":
"Bisognerebbe che in una società come quella che voi governate, Principe, non ci fosse che un solo volume (...). Vi sarà una specie di Codice Pubblico di tutte le scienze nel quale, oltre i limiti prescritti dalle leggi, nulla potrà mai aggiungersi."
G.Orwell conclude l'appendice a "1984" riportando un brano tratto dalla "Dichiarazione d' Indipendenza" e descrivendo l'atteggiamento assunto verso questo documento, come esempio di opera del passato, dagli utopisti di Oceania:
"Sarebbe stato assolutamente impossibile rendere tutto questo in Neolingua, rispettando il senso dell'originale (...). Una traduzione completa ed analitica avrebbe potuto essere soltanto una traduzione ideologica, in cui le parole di Jefferson sarebbero state trasformate in panegirico dello stato assoluto".
Anche i fatti della storia sono dunque travolti dall'impeto totalitario degli utopisti.
Il passato è quello che il Partito vuole che sia e la sua mutabilità è il dogma centrale del Socing.
Gli slogan di Partito sono frasi semplici ed autocontraddittorie, ma sono dogmi ed è vietato soffermarsi a constatare l'evidente inconciliabilità tra soggetto e predicato:
"LA GUERRA È PACE"
"LA LIBERTA' È SCHIAVITÙ"
"L'IGNORANZA È FORZA"
Anche se qualcuno fosse talmente coraggioso da volerli confutare, non troverebbe più le parole per farlo : democrazia, libertà, conoscenza non esistono nel nuovo vocabolario.
La Neolingua è potente, attacca il pensiero e lo distrugge sul nascere.
"Winston sentiva che si era come prodotto un vuoto, come se gli fosse stato tolto un pezzo del cervello (...).
Il giorno che l'Archeolingua fosse stata sostituita una volta per tutte dalla Neolingua si sarebbe infranto l'ultimo legame col passato."
La lingua è alla base del pensiero, si pensa parlando e la riflessione intima è un vero e proprio discorso con se stessi.
Il ciclone del totalitarismo spezza le strutture della lingua, prima di agire su quelle della società, poiché azzerando le menti, facendone "tabula rasa", può immettervi un nuovo modo di pensare, quello dettato dal Grande Fratello.
"Ora, tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se medesimo. Amava il Grande Fratello."-

Il linguaggio dell'utopia
Analisi della neolingua in 1984 di G. Orwell
Vittorio Barabino

martedì 16 giugno 2009

Pitturarte.glog

La mia "arte" (immagine dal web)
L'intenzione originaria di creare un Blog di scambio opinioni e di esposizione delle "mie", accompagnate da dipinti dell'autore e immagini dal web e non, si sta lentamente trasformando in un tentativo di creare un "opera d'arte"in linea, un diario-libro-quadro, installazione mediale, fatto di commenti, idee, proposte, immagini (tra poco anche video), slogan, aforismi personali e non.

Un lavoro artistico dialettico che tenta di indagare, di esporre, che sbaglia, che provoca, che si contraddice e afferma, che muta o resta fisso, che dice grandi stupidaggini e piccole verità, che aggredisce e si piega, schizofrenico, disturbato, idiota.

Un opera multipla in costante sviluppo in cui l'artista crea un autoritratto di se, attraverso non la semplice copia della propria immagine o la sostituzione della stessa con simboli o metafore, ma attraverso il racconto di se stesso utilizzano qualsiasi mezzo conosciuto (dall'autore).

In se non è nemmeno vendibile (almeno per ora) per cui non ancora "guidabile" o corrotta, un opera vera e allo stesso tempo fasulla.

Pitturarte.glog è la mia arte, intesa come espressione, poetica o mezzo interpretativo, è la mia parte malata, irreale e inutile all'altro. Pitturarte.glog non cerca armonia o consenso, ma opposizione e dissenso (anche ad essa stessa)!
PS: sull'opposizione e il dissenso non esageriamo!!!
Mi rendo conto, rileggendomi, di farmi talvolta prendere da un linguaggio leggermente retorico con qualche accenno al proclama più che all'esposizione, del resto non sono un professionista e certi manierismi partono in automatico, ma il bello di un blog è che puoi tornare indietro, rivalutarti e modificarti.
Il cavaliere inesistente

sabato 13 giugno 2009

Del dipingere

Diversabili (olio su cartone telato)


"La pittura è uno strumento, come un altro, ma diverso da un altro.


Così come la poesia, il video, la scultura, la performance.


Non voglio mescolare tutto in un unico pentolone, ma al contrario caratterizzare, specificare.


Quando l'obbiettivo è (l')arte e le sue riflessioni, lo strumento può essere una forma di linguaggio caratterizzato da una tecnica precisa.


Il mio utilizzo della pittura, che può sembrare obsoleto e decadente (e probabilmente lo è) da un altro punto di vista si pone in modo oppositivo allo "spettacolo dell'arte", non è dettato da scelte precludenti o specificamente formali, dipingo perchè mi piace fare questo, in questo momento.


La pittura è anche un momento intimo, riflessivo che mette in relazione corpo, anima e fenomeni, l'aspetto meditativo può assumere valenze terapeutiche ma non esauriscono il potenziale dell'arte.


La pittura è parte di un percorso che può mutare o rimanere per sempre, nella personale ricerca estetica.


La ritengo parte del mio contatto col reale, dove il reale è l'azione pittorica in sè. Un azione lenta e forse ossessiva."


Il cavaliere inesistente

Risvegli "freddi"

immagine dal web

RISVEGLI”FREDDI” ("Proesie" all'alba, inizi di pezzi)

I piedi sono i primi a farsi sentire, li ho coperti bene con i giornali, ma non bastano mai. Li ho avvolti tra più pagine, ben schiacciati per farli aderire e poi sopra i calzettoni, preziosissimi.

L’ideale sarebbe un calzino da indossare prima dei giornali, devo procurarmelo, forse dai preti. Dal finestrino entra la luce dell’alba.
Mi tiro il giaccone un po più su a coprire il collo, a discapito dei piedi.

Dopo aver freneticamente agitato le dita per attivare la circolazione, stanno un poco meglio.

Tengo il giaccone steso per il lungo, in modo che le maniche arrivino da una parte a coprire in qualche modo i piedi e dall’altra per coprire il collo o quasi,

un cappotto è meglio.
Dei rumori, qualche addetto alle pulizie o forse qualche ferroviere che controlla la carrozza, non me ne preoccupo, mi alzerò solo se necessario, ancora un oretta posso restare e non sono disposto a farmela rovinare da timori infondati, spesso si sentono rumori che si rivelano ininfluenti. Sono passi, mi irrigidisco.

L’assenza del freddo descrive meglio la sensazione che non una semplice percezione di caldo o calore.
Una stanza d’ospedale, blindata per l’evenienza, che trasmette assenza di freddo può sembrare un assurdità.
Guardo verso la porta, chiusa e da uno spazio laterale parallelo alla stessa, coperto da in vetro corazzato, intravedo la divisa di un carabiniere, piano, piano ricordo.

Alzo il braccio sinistro e vedo la fasciatura al polso.

Dovevi farlo per lungo è la frase che mo appare, quasi scritta e vedo Antonello con il suo ghigno sprezzante,

alla fine l’ho fatto sul serio.

Alzo la testiera del letto con il telecomando, di là mi sentono muovere e un carabiniere si affaccia al pannello trasparente blindato.
Il giorno prima eravamo riusciti ad avere dei quartini di vino barattandoli con sigarette, il rischio dentro, quando bevi troppo è che ti prenda la “balla triste”, poi fai "cazzate". Come dei "flash" mi appaiono le scene della serata, la parte superiore metallica di un accendino bic strappata con i denti, in isolamento non avevi altro, solo più tardi quando entri in sezione hai mezzi più adeguati per farti del male. La bomboletta del gas come anestetico spruzzato sulla parte da incidere (c’è chi lo usa anche aspirandolo per inebriarsi, estremamente pericoloso perché se esageri “ti ghiaccia i polmoni e muori”), la parte più tagliente del metallo è più una punta e più che un taglio è uno squarcio, poco profondo ma martoriato.

Devo essere svenuto, penso più per la "sbronza" e la perdita del sangue che per altro.
L’ultimo ricordo è Antonello che chiama le guardie con molta calma …….saranno tre o quattro giorni in meno, da scalare dalla carcerazione.

Un soggiorno all’ospedale, oggi, è assenza di freddo.

La coscienza quasi immediata del dovere, nella sua inesorabile violenza necessaria.
In pochi secondi ripassi mentalmente tutte le operazioni che ti servono per arrivare al lavoro, il caffè, lavarsi il viso, i denti, vestirsi, prendere tutto quello che serve, le chiavi.
Finito di ripassarle mentalmente ti accorgi di averle già fatte e stai uscendo.
Il giro scale nella sua gialla luce malinconica ti accogle con la stessa freddezza dell’ azienda che ti paga, scendi le scale con lentezza, il freddo sta per prendersi il tuo calore.

“La “roba” frigge nel cucchiaino, scura, brown sugar, è pronta, appallottolo un poco di cotone e lo metto nel liquido, con la punta dell’ago infilata nel filtro occasionale aspiro il contenuto fino all’ultima goccia.
La certezza che tra poco starò da “dio” quasi mi permette di anticipare, per alcuni istanti, il benessere atteso.
Mi preparo all’iniezione, su la manica, la cintura intorno alla parte superiore del braccio con un capo infilato tra i denti per tirare e stringere, l’ago entra in una vena martoriata ma proprio mentre sto per premere lo stantuffo con orrore il liquido contenuto nella siringa si trasforma in argento liquido, mercurio forse, sconvolto quasi strappo la siringa dal braccio e …”
Sbarro gli occhi in un lago di sudore, mentre un senso di freddo che parte da dentro mi scuote, un sogno, un maledetto incubo, cristo!
Tiro le coperte al mento per non disperdere calore, ma è inutile.
Il sudore mi ricopre avvolgendomi in una guaina umidiccia e fredda, l’unico modo per togliere parzialmente questa sensazione è un bagno caldo. Mi alzo in fretta, lo stomaco una pietra, il corpo indolenzito, mi dirigo in bagno, lascio scorrere l’acqua bollente aggiungendo pochissimo bagno schiuma e raggiunta la temperatura adatta(caldissima) mi ci immergo, lascio che il corpo torni lentamente a riprendere calore e che la patina di sudore si sciolga nell’acqua, il benessere è momentaneo ma utile.
Il bagno mi rende un poco di carica, mi preparo un caffè leggero con poco latte non sarei in grado di consumare altro, rischierei di vomitarlo.
Sono appena le otto, la giornata è fredda, non ho più un euro, devo farmi, esco, mi vesto molto, il freddo sarà insopportabile.

Apro gli occhi ma ero sveglio già da un pezzo.

Non sveglio completamente, quel sonno che sembra di non dormire, nemmeno dormiveglia.

Un abbassamento del livello cognitivo che ti impedisce di riconoscere se stai dormendo o no.
La stanza è ampia o sembra così perché c’è solo il letto, matrimoniale, e un armadio ridotto. Distinguo nettamente il calore del corpo sotto la trapunta pesante e il freddo dell’aria sul viso esposto, non è spiacevole.

Il viso è più resistente al freddo e poi se diventa insopportabile posso subito immergerlo tra le pieghe della trapunta.
Mi sveglio stanco, non ho sonno ma non voglio alzarmi, ho paura di dormire, di sognare.

"In cima ad una collina, vicina ma allo stesso tempo lontana come solo nei sogni è possibile, in piedi, alto, coperto da una palandrana composta da decine di filamenti o meglio strisce dai colori sgargianti, avvolto da un alone verde, mi guarda attraverso, come solo nei sogni è possibile. Una barba lunga ma non bianca, ne nera, un grigio sporco, i lineamenti non sono chiari.
Una sensazione non fisica ma visiva di calore, quasi doloroso,
da ambire ad un rifugio visivo, freddo."
Nient’altro,
eppure l’intensità della scena è travolgente,
l’essere, lo stregone (è il termine che meglio si adatta alla sua descrizione) è il mio inesorabile destino e ne fuggo verso la visione rassicurante del quotidiano più banale e freddo.

Il cavaliere inesistente

giovedì 11 giugno 2009

Il creativo corrotto

Diversabili (olio su cartone telato)
Da alcuni anni ho preso la pessima abitudine di seguire con una certa costanza i notiziari locali (Bolzano e provincia) sia quelli televisivi che cartacei, in particolare ho ritualizzato il caffè/cappuccino mattutino con la lettura del nostro quotidiano principale e la prima (sperando sia l’ultima) sigaretta del giorno, sembra quasi un rito masochista, mi danneggio in tre modi diversi.
Un rito propiziatorio alla negatività, un automatismo scaramantico all’inverso.
Caffè e tabacco si “occupano” del corpo, l’informazione fa il resto.

La lettura del giornale riesce a darmi quella disposizione d’animo necessaria ad affrontare il giorno, il giusto equilibrio di rabbia e frustrazione utile ad affrontare altri arrabbiati frustrati.
La contraddittorietà delle notizie riportate, la mancanza di dibattito, la “confusione” della realtà, le censure e le sovrabbondanze sospette d’alcune notizie non informano, provocano reazioni.
Leggere il giornale è una piccola iniezione d’emozioni.
Ci s’indigna, ci si stupisce, ci si arrabbia o irrita, ci si commuove, ci si spazientisce, ci abbatte, ci sostiene, si ride, facendoci provare piccole emozioni preconfezionate.
E’ una tv scritta, se non nei comunicati puramente tecnici (pure su quelli ci sono dubbi) la realtà, quella del quotidiano che a noi solitamente interessa, è travisata, negata e distorta.
Prendetevi il disturbo di leggere il giornale con atteggiamento fortemente critico, probabilmente ve n’accorgete.
La mia attenzione naturalmente è catturata dalle pagine culturali e dagli eventi artistici, non entro nel merito degli articoli inerenti, cosciente che la maggior parte sono marchette, ma alcuni giorni fa ho letto un articolo su un’iniziativa, sicuramente lodevole, ma che poneva un tema che ritengo rilevante (lo poneva con già la soluzione inserita e di parte), la creatività è arte? Basta davvero che si comunichi qualcosa (qualunque cosa?) per essere artisti? Ma se chiunque comunica qualcosa (qualunque cosa), tutti sono artisti? Ma se siamo tutti artisti (tutti crediamo d’avere qualcosa da dire) come mai esiste l’Arte? Nella notizia si affermava, in effetti, che per far arte basta comunicare qualcosa.

Riflettendo sulla creatività e sulla sua differenza e/o afferenza con l’arte mi accorgo della necessità da una parte di separare le due istanze ma dall’altra una forte tendenza a tenerle unite. Ritengo sia un grosso errore credere che ai nostri tempi creatività ed arte sia la stessa cosa, come già in un post precedente ebbi a dire. Penso che la creatività sia una parte con una sua autonomia e indipendenza, di altro, ancora poco chiaro, che si chiama arte. Un elemento certo rilevante ma non esaustivo.
La creatività resta troppo lontana dal ciò che si vuole dire, è ininfluente cosa è detto o fatto.
Ecco perché abbiamo i creativi nella finanza, nella pubblicità, nei gadget, nella moda e via, via in tutti i campi delle attività umane (nella criminalità un killer esperto e con una certa inventiva nell’eseguire il suo lavoro, può essere definito creativo).
Senza creatività, per altro, non esisterebbe l’arte. Ma se l’origine dell’arte è legata alla creatività, il suo sviluppo storico pare se ne sia allontanato, differenziandosi ma non slegandosi.
L’arte è la creatività “utilizzata per”…, dove quel “utilizzata per” si trova nel senso estetico dell’epoca. Mi rendo conto che entriamo in un campo particolarmente complicato, ma è proprio qui il punto.
Ad un creativo generico non importa sapere d’estetica, di gusto (o disgusto), di bello (o brutto) perché il suo obiettivo può non essere quello, ma anche un artista non è tenuto a sapere d’estetica o di filosofia e ritrovarsi artista.
Un creativo può avere un obiettivo economico, per un artista si è sempre ritenuto che lo scopo ultimo non dovrebbe essere quello del profitto (per lo meno non l’unico) ma questo non è vero e ce n’accorgiamo.
I tecnicismi dell’artigianato assomigliano sempre più ad opere d’arte (intese come opere belle, di buon gusto, esteticamente valide), come in fondo quasi tutte le attività specializzate (e nemmeno troppo) che riscontrano il favore del gruppo social-culturale d’appartenenza.
Quando si parla di gusto ed estetica si parla in fondo di tutto il vissuto umano, non tentiamo tutti di vivere cercando ciò che ci piace? Il gusto dovrebbe determinare ciò che ci piace, viviamo secondo il nostro gusto (o senso estetico).
Almeno così crediamo.
Facciamo un esempio, gli hamburger di una nota casa alimentare stanno riscuotendo un favore da parte delle nuove generazione che lascia esterrefatti, se parlate generalmente con persone che superano i 40 anni troverete ben pochi favorevoli a quest’alimento, se non addirittura molto contrari.
A questo punto le cose sono quattro o negli ultimi 30/40 anni c’è stata una mutazione organica delle papille gustative umane, quindi le nuove generazioni apprezzano particolarmente questo cibo o la catena alimentare ha inventato il gusto perfetto (ma allora piacerebbe a tutti e in eguale misura) o la campagna promozionale, il monopolio del mercato, il marketing hanno sortito il loro effetto o lo stile di vita contemporaneo ( anche in questo caso varrebbe per tutti anche per i 50enni e più su) porta a questo tipo di consumazione (anche questo è condizionamento). Personalmente propendo per la terza scelta. In questo caso il gusto è stato guidato. Non voglio ritornare sui soliti temi della mercificazione di tutto ma io non posso esimermi da tenerne conto. Pensiamo alla musica (con internet le cose stanno cambiando), c’è un certo tipo di musica che non è mai mandata dai mass-media, ma ce n’è altra che ci ossessiona per la frequenza con cui è esposta, prendiamo la televisione, il più grande strumento d’informazione di massa, il più gran rincoglionitore di massa, tradotto.
Le veline sono artiste, i calciatori artisti, le comparse in un serial sono artisti, i conduttori di quiz sono artisti, all'opposto comici censurati, come anche certi giornalisti o attori (probabilmente veri artisti), la tv è ossessiva, pornografica (in senso di sfruttamento della pornografia), a culturale. Certi libri raramente li troverete nelle scuole (da qualunque ideologia arrivino), certe notizie non le avremo mai (pensate a tutte le inchieste irrisolte nel nostro paese). In passato per l’arte, lo spazio concesso dai media è sempre stato ridotto o inesistente (non aveva valore o non era ancora stato dato) ora aumenta esponenzialmente, conoscendo la parzialità dei media nascono forti dubbi.
Ma torniamo al gusto.
Io penso che non siamo liberi nelle nostre scelte (credo anche le più banali) non solo per tutta una serie di complicazioni social-culturali-psicoevolutive, probabilmente inevitabili, ma anche perché esiste tutto un sistema di mercato che ci condiziona, un mercato che è entrato a far parte d’ogni aspetto del nostro vivere, perfino quello cognitivo (quante volte ci scopriamo a ragionare in termini di tornaconto personale e non parlo solo di “vil denaro” o come diciamo quando vogliamo "far fare" i compiti ai figli :”Se li fai dopo ti do …..” o ancora :”Se fai il bravo prendi …..”), ma soprattutto quello del gusto, del ciò che ci piace, perché se una cosa non ci piace solitamente non la vogliamo (e per questo un po’ devono farcela piacere, e qui nasce tutto un altro discorso) e non la consumiamo.
La differenza tra creatività ed arte probabilmente si deve trovare nel senso estetico.
La creatività è il senso estetico dominante dove ogni azione produttiva, anche ideologica o quant’ altro, è tesa al profitto, dove tutto quello che è vendibile è lodevole e in un mondo d’apparenze e finzioni è anche falso.
Probabilmente a questo punto urge un chiarimento, anzi due. La tendenza a generalizzare, pessima caratteristica umana, porta forse a credere che io pensi che ogni sforzo individuale e non, sia assolutamente corrotto, non è così ma ritengo che le realtà che seguono altre indicazioni da quelle sopra citate sono marginali e per lo più inserite in contesti quasi “folkloristici” e ideologizzati.
Secondo chiarimento, quando parlo di profitto, non intendo solo soldi, ma consenso, potere, pubblicità, vantaggio, privilegio, monopolio, riconoscimento sociale, fenomeni che portano però inevitabilmente all’accumulo di denaro, da rispartire.
“L’arte” potrebbe essere il senso estetico alternativo, penso che glielo consenta la storia, un ruolo datogli dalla continua ricerca del ciò che può piacere (e perché), ricerca che non è indispensabile per la creatività, se l’arte si occupa di ciò che può piacere (e non piacere) può contrastare la “perdizione” della creatività, distinguendosi da essa e falsificandone gli aspetti a partire dal suo stesso significato. L’arte deve combattere il mercato se vuole trasformarsi in qualcosa di nuovo che ci può piacere più di quello che in fondo, ci fanno piacere (o non ci fanno piacere) adesso.
Se la differenza tra arte e creatività ora è poco riconoscibile è proprio nella sua diversificazione voluta che si può contrastare l’estetica del mercato. Per questo penso che al momento l’arte deve restare divisa dalla creatività, ed affermarlo con evidenza, poi in un tanto ipotetico quanto forse utopico futuro, in cui nessuno ci dirà cosa ci deve piacere e cosa no, creatività ed arte possono riunirsi senza paura di confondersi, forse.
Il cavaliere inesistente

martedì 9 giugno 2009

Altro




Diversabili (olio su cartone telato)
Post pittorico
Pittorpost
POSTPITTOR
Pitpost
Postpit
POSP
PP
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Il cavaliere inesistente

lunedì 8 giugno 2009




Diversabili (olio su cartone telato)
Desiderio ingiustizia Invidia

L’essere virtuosi difficilmente concede spazio al desiderio, essere virtuosi è un compito estremamente arduo e molto spesso volontario e forzato (quindi non piacevole), ritengo improbabile che un affamato o assetato da giorni, abbia il tempo di pensare che non è giusto desiderare il pezzo di pane di un altro o il suo bicchiere di vino.
Il desiderio, volontario e involontario, è estraneo alla virtù.
Se condividiamo quest’idea e al contempo crediamo che i bisogni dell’uomo subiscono un evoluzione legata a tutta una serie di eventi (rapporti sociali, possibilità economiche, mutamenti psichici sia individuali che collettivi) per cui mutano secondo le condizioni dell’individuo o della collettività e anche in rapporto ad un ipotetica scala di valore, dobbiamo anche pensare che l’appagamento dei bisogni è intimamente legato al desiderio.
Ma se in un ottica virtuosa desiderare è male diventa male anche appagare i propri bisogni e come posso essere virtuoso senza avere inizialmente appagato i miei bisogni primari e necessari e poi quelli conseguenti (spesso necessari allo stesso equilibrio psicofisico) o secondari o sovrastrutturali o anche individuali e collettivi?
Diventa una contraddizione, ecco perché spesso la virtù percorre un percorso ascetico e l’eremitaggio diventa sua opzione quasi forzata.
Certo non possiamo definire il mondo in cui viviamo un mondo giusto, con uguali opportunità e valori virtuosi, direi piuttosto il contrario. Giustizia ed uguaglianza a mio parere sono condizioni determinanti per essere virtuosi, condizioni spesso assenti o corrotte.
Per chi aspira ad un mondo virtuoso la giustizia dovrebbe essere al primo posto probabilmente, la sua assenza preclude ogni tentativo.
Un mondo virtuoso diventa condizione indispensabile alla pratica della virtù.
In assenza di virtù-giustizia esiste l’ingiustizia, ma desiderare la giustizia non è un atteggiamento virtuoso in quanto implica desiderio, chi soffre di ingiustizie non è, nemmeno eticamente, autorizzato a desiderare la giustizia, in quanto non virtuoso.
Se a tutto questo aggiungiamo la relatività della virtù nelle sue sovrastrutture, diventa difficile credere che desiderare sia male di per sè (ancora una volta la valutazione può essere solo successiva).
Desiderio ed ingiustizia portano a conflittualità verso chi gode invece di privilegi in rapporto agli altri. Se desiderio e ingiustizia (di conseguenza impotenza) sono fenomeni presenti nel nostro quotidiano la manifestazione del disaccordo è un fenomeno conseguente.
Dare una connotazione morale o un valore positivo-negativo a sentimenti quali gelosia od invidia, allo stato delle cose, è una falsificazione della realtà, si pretende la virtù in assenza dei suoi presupposti necessari e si moralizza, nel senso più negativo del termine, il desiderio o lo si considera avirtuoso in un mondo in cui la virtù è improbabile.
Ridurre il desiderio ad un meschino atteggiamento volontario portatore di aspetti negativi, dove il desiderare secondo giustizia ed uguaglianza è ridotto ad atteggiamenti di invidia o gelosia, è utile a mantenere i privilegi di chi porta l’oggetto del desiderare, ecco perché comincio a credere, probabilmente in modo azzardato, che gelosia ed invidia non siano altro che fenomeni derivanti da sistemi ingiusti e diseguali, con valenze potenziali positive di riequilibrio, in opposizione a chi li stigmatizza impropriamente per giustificare l’ingiustizia e la disuguaglianza.
Il cavaliere inesistente

lunedì 1 giugno 2009

immagine dal web "Cultura d'alto livello"
Op-post
Immaginavo che alcune delle critiche d’amici sul blog, sarebbero andate alla specificità d’alcune argomentazioni che rendono lo scritto un poco complicato.
Riguardo all’arte ritengo che un minimo bisogna conoscerne i temi, nell’arte non esiste solo “mi piace o non mi piace” o meglio non è sufficiente a definire un intervento artistico come tale.
A qualcuno la pop art piace ad altri no, ad altri piace il minimalismo e non l’arte concettuale, alcuni apprezzano la video-art altri non la considerano arte e via così. Molte opere portano con se contenuti, argomentazioni, simboli, metafore che spesso sono importanti per la comprensione di queste, nella pittura (e scultura) in passato gli stessi gesti pittorici o i segni, avevano un significato preciso e riconducibile ad altro.
Anche l’arte puramente decorativa, astratta o informale nella sua ricerca del gesto puro ha trovato opposizioni e critiche e non ha risolto il problema del gusto.
In particolare nell’arte contemporanea è importante sapere di che si parla, le cose proposte sono sicuramente difficili da comprendere (personalmente ne comprendo poche) ed inevitabile nasce il dubbio: è arte questa?
Certo non tutti si prendono il disturbo di studiarsi storia dell’arte o dell’estetica o a leggersi trattati di critica per vedersi una mostra, come uscire da quest’impiccio?
Si torna al “mi piace o non mi piace”, all’impatto emotivo, alla presunta soggettivazione del gusto, quando scrivo presunta è per evidenziare che credere al mondo d’oggi, circondati da mass media invasivi, mercanti senza scrupoli, potenti corrotti e un sistema di relazioni sociali basate sulle apparenze, che il nostro gusto non sia guidato è piuttosto qualunquista ed ignorante, o credere che dietro al mondo dell’arte non esista un sistema di gestione legata al profitto è da poveri illusi. Chi si occupa d’arte difficilmente non si accorge di questo. Ma se il mio gusto è guidato, come n’esco?
Penso che l’unica soluzione sia quella di informarsi, di sapere di che si tratta, di non fermarsi alla superficie, di dubitare di ciò che è proposto con tanta invadenza, di farsi un’idea propria basata su degli elementi conosciuti e da conoscere.
“L’arte contemporanea”, intesa in questo caso come stile specifico e non come arte dei nostri giorni, ha tutti i connotati del business, è come tale tende ad accentrare i consensi di chi partecipa a tale mercato, oltretutto è un’arte di privilegio non culturale ma economico soprattutto, solitamente partecipa a questo affare chi può permetterselo. Gli esclusi, il pubblico di massa, gli stipendiati di basso livello, gli operai, le casalinghe e tutti quelli che per lo più sopravvivono assistono da fuori al gran banchetto, godendo del luccichio lontano e magico e difficilmente capendone la natura.
Mi viene in mente un avvenimento di cui si narra nel medioevo quando i nobili lasciavano al popolo gli avanzi del pane, steso come tovaglie su cui mangiavano, intriso del sugo rilasciato dalle carni e dalle pietanze, il concetto più o meno è questo.
Noi il pubblico di massa siamo l’indotto, non possiamo comprare le opere perché al di fuori della nostra portata ma possiamo comprare i gadget, pagare i biglietti d’ingresso, leggere e comprare giornali e riviste del settore, acquistare le riproduzioni, ecc.e non sottovalutate gli aspetti psicologici di questo sistema, ma questo è un altro argomento.
Ecco perché ritengo che occuparsi d’arte non può sfuggire da queste obiezioni e necessità di un poco di conoscenza.
Prometto agli amici, se mi leggeranno ancora, di rendermi più comprensibile e li invito però ad occuparsi d’arte con un poco più d’impegno e potrebbero scoprire cose interessanti.
Un'altra critica è stata questa: “Ho l’impressione che ti parli addosso.”. Vero mi sto parlando addosso, un po’ come quelle persone che parlano da sole e pensiamo siano matte, ma del resto la follia non è ormai l’unica ribellione possibile?

Il cavaliere inesistente